Mamma adottiva e psicologa: Simona Muzzetta di @simona_muzzetta_psicologa

Mamma adottiva e Psicologa, Simona in quest’intervista ci parla di lei e della sua esperienza da mamma adottiva.

  • Come ti definiresti in tre parole?

Una donna accogliente, vulcanica e vintage.

  • Da dove comincia la tua passione per la psicologia?

Per risponderti devo tornare tanto indietro nel tempo e credo sia sempre stato dentro di me, solo che non conoscevo il nome proprio di ciò che sentivo. Sono stata la bambina dagli occhi grandi e profondi, acuta, solitaria, sognatrice, la ragazzina paziente e sonnambula, l’adolescente a cui puoi dire quello che provi avendo l’assoluta certezza che il tuo segreto è custodito gelosamente.  Ho sempre pensato che dentro ciascuno di noi vive un mondo meraviglioso e che a volte è solo faticoso vederlo o farlo emergere o bisogna avere tempo e pazienza. E io ho avuto tanta pazienza e, se anche i miei avevano paura di lasciarmi trasferire in un’altra città per studiare psicologia, ho perseverato. Pensa che studiavo ingegneria edile prima di sentire di non poter più fare a meno della psicologia. Sembra una vita fa…

  • Quanto sono importanti i social media per la tua professione oggi? 

La mia casa di proprietà rimane sempre il mio sito internet www.simona-muzzetta.it anche se non ho molto tempo e necessiterebbe delle pulizie di primavera, però la mia stanza in affitto preferita, Instagram, mi piace molto, soprattutto adesso che ha assunto una connotazione più vicina a ciò che sto vivendo oggi: l’esperienza adottiva. Facebook è collegato al mio sito e a Instagram per cui si aggiorna automaticamente e non gli dedico nessuna particolare attenzione. Instagram è molto importante nella mia professione perché mi permette di mostrare alle persone che una psicologa è una donna qualsiasi, che soffre, gioisce, combina guai, proprio come tutti gli altri. Inoltre mi permette di raccontare la psicologia in maniera più diretta e spontanea e mi mette in contatto con persone davvero interessate al mio lavoro e al mio modo di lavorare. Ho conosciuto molte menti stimolanti con le quali sento dei legami affettivi importanti.

  • Raccontaci della tua esperienza di adozione.

 È più facile raccontarla mentre accanto a me dorme beata la mia piccola Magia, però devo dirti che è stato un viaggio appassionante e naturale. Ecco, naturale è il termine che mi piace di più. Negli anni di fecondazione assistita, lutto per l’infertilità, vecchi nodi che vengono al pettine, tutto sembrava complicato. Hai presente quando devi andare da qualche parte e i semafori sono tutti rossi? Ecco, mi sentivo così. Quando io e mio marito abbiamo cominciato a parlare seriamente di adozione (dico seriamente perché anche noi, come molte coppie, avevamo fantasticato all’idea di adottare quando non sapevamo di non poter avere figli, ma non è un pensiero che ha a che vedere con l’esperienza adottiva vera), tutto è improvvisamente filato liscio, i semafori erano tutti verdi e faceva davvero bene al cuore. Leggerezza e complessità sono i due termini appropriati per me. Leggerezza di sentirsi finalmente nei propri panni e complessità perché è un percorso che richiede molta cura, molta conoscenza di se stessi, molta capacità di riflettere sui propri pensieri e stati d’animo. È andata così.

A Natale 2017 mio marito mi scrive un biglietto con due quadrati, hai presente quando da bambini qualcuno voleva chiederti di essere la sua migliore amica e tu dovevi barrare il SI o il NO? Ecco, su quel bigliettino mio marito Miky mi chiedeva se volevo avere un figlio adottivo da lui e, ovviamente, sapeva la risposta, ma quel biglietto rimarrà sempre nel mio cuore come un patto. Organizziamo i documenti e il giorno del mio quarantesimo compleanno, il 30 aprile 2018, inviamo tutta la documentazione al tribunale. Qualche giorno dopo ci chiamano i Carabinieri per le domande di rito, poi a fine maggio ricevo la chiamata dei Servizi Sociali incaricati di effettuare la valutazione. Piango al telefono e, la donna che poi scoprirò essere la nostra assistente sociale, mi rassicura come una mamma, mi dice di sedermi e di scrivere sul foglio le cose che mi detterà. Data e ora del nostro primo incontro con loro: la nostra famiglia allargata. Iniziamo il viaggio, lunghe chiacchierate, domande intime e profonde, riflessioni sul bambino, su di noi, cambi di pensiero. Un viaggio alla scoperta di Noi. Quando finisce il percorso è di nuovo Natale e a gennaio i servizi inviano la relazione al tribunale. Nessuno ha mai scritto niente di più importante per me. Pensando di non avere nessuna chance di adozione nazionale, tutti pensano questo purtroppo e io uso i social anche per infondere speranza, oltre che per dare la giusta informazione, veniamo contattati per il colloquio con il giudice che deve decidere se siamo idonei all’adozione internazionale. A colloquio finito io e mio marito corriamo alla manifestazione People del 2 marzo a Milano, dove ci aspettano una coppia di amici genovesi con la loro piccola adottiva. Siamo felici e sappiamo che prima o poi avremo tra le braccia il nostro bambino…non sappiamo ancora che lei è già dentro una pancia… A maggio riceviamo la telefonata che tutti si aspettano di ricevere, ma non pensiamo un solo istante che possa esserci un bambino in stato di adottabilità e andiamo pochi giorni dopo in tribunale. Incontriamo l’assistente sociale e la giudice e facciamo una bella chiacchierata di conoscenza. Usciamo dall’incontro pieni di speranza per il futuro. Tornando a casa ci diciamo di essere stati noi stessi al 100% e ne siamo felici. Dormiamo sonni tranquilli. Il giorno dopo mio marito mi telefona piangendo: vogliono venire a vedere casa. Questa richiesta la si fa solo in un caso: siamo stati scelti per diventare i genitori di un bambino. Il mio cuore batte all’impazzata anche ora che te lo racconto. È un’emozione indescrivibile. È mercoledì e l’assistente sociale conosce la nostra casa, ci dice che non può aggiungere nulla se non che abbiamo un “permesso speciale” per il giorno dopo. Alle 9 in tribunale. Alle 9 e pochi minuti dopo scopriamo che una neonata sana e piena di capelli ci aspetta in ospedale: è nostra figlia! Chiamiamo gli amici per farci portare tutto ciò che hanno conservato dei loro figli, chiamiamo i nostri genitori annunciando loro di essere appena diventati nonni e voliamo su una nuvola di desideri realizzati. La nostra casa si riempie di vestiti, pannolini, culla e passeggino ed è il caos più bello di tutti i miei sogni. Lunedì mattina apro gli occhi e sono diventata mamma. Quando la vedo per la prima volta, con gli occhi vispi e pieni di curiosità, so senza ombra di dubbio che tutto ciò che accade ha un senso, che quella morettina con la cresta È mia figlia!

  • Cosa ha significato e significa per te essere mamma? 

Non so rispondere a questa domanda. So che cosa significa essere mamma di Magia. Vuol dire sentirsi in pace con tutto, avere il cuore colmo, concedersi di sbagliare, amare profondamente, stare nel silenzio dell’ascolto. Significa imparare e lasciarsi ispirare dall’infanzia, aver paura di non essere all’altezza e poi mettersi a gattoni perché non bisogna essere alti per fare la mamma di Magia, anche perché è piccola come un nano da giardino ☺️ Significa ridere a crepapelle solo per strapparle un sorriso, mangiare cibo sbavato solo perché è con le sue mani che lo porge, andare in giro con i pantaloni macchiati di latte artificiale. Vuol dire avere gli ormoni a mille, eh sì…anche noi mamme adottive abbiamo gli sbalzi d’umore, il sonno sballato e la costante paura che possano portartela via o che possa accaderle qualcosa per una distrazione. Significa amare qualcuno che non hai partorito senza se e senza ma, sentirla parte delle tue viscere, vederla crescere con le tue movenze e sentirti dire che ti assomiglia tanto. Significa rinnovare ogni giorno la scelta adottiva e sentirla sempre viva dentro.

  • C’e qualcosa che ti piacerebbe cambiare della societa riguardo l’adozione? 

Gli stereotipi, ad esempio che i bambini adottivi sono problematici, che non ci sono bambini adottabili, che adottare è solo difficile e richiede tanti soldi e che si deve mentire per avere delle chance. Cambierei l’idea che prima di arrivare alla scelta adottiva si debba per forza fare un percorso medicalmente assistito per provare ad avere un figlio biologico. Nel mio piccolo cerco di fare tutto questo per le altre aspiranti coppie di genitori.

  • Che consigli daresti ad una coppia che decide di intraprendere questo percorso? 

Siate voi stessi, sempre. Siate sicuri di aver elaborato l’infertilità prima di scegliere di adottare un bambino, perché i bambini adottati sono bambini con storie di abbandono e hanno il diritto di avere dei genitori che non pensano (e non sperano) ad altri bambini. Siate pronti a scombussolare la vostra vita, a cambiare idea, a giocare con le schifezze trovate dai sapienti ditini dei vostri bambini.

  • E infine, cosa ti sarebbe servito sapere prima…(riguardo al processo di adozione, carriera o come mamma). 

Che andavo bene così, che si può non desiderare un figlio biologico e andare bene così, che il bisogno di supporto è lecito ed è un diritto chiederlo.